I Romitori del Conero

foto di S.Pietro al Conero tratta dal web Si parla in questa splendida pagina del Romiti dei Romitori (che strana ironia nel nome) ovvero di quegli uomini che attendessero al servigio di Dio e pregassero il Signore  per l' incolumità dei vivi e il riposo dei morti … e il luogo leggendo si prestava mirabilmente allo scopo, come tanti esempi nei posti più inaccessibili ma estremamente ameni, si possono incontrare in giro per l' Italia …

 
Non è meraviglia che un luogo di tal genere, appartato da ogni rumore del mondo e confinante, per così dire, coll’ infinito, in tempi di grande pietà e di vivo fervore ascetico, sia divenuto meta di rifugio ad uomini che, anche senza essere ascritti a ordini religiosi propriamente detti, sentissero il bisogno di sottrarsi alla vita mondana, così piena di tumulti e di tempeste.
Degli Eremiti che abitavano il Conero è incerta la storia, e non offrirebbe che scarso interesse. Ne trattò il Barili nei Romitori del Conero (gli storici di Numana) dai quali riassumiamo le nostre modestissime note. Il Conero fu abitato da Eremiti anche prima del mille. La Chiesa di S. Pietro, che ancora è in piedi, il Convento, di cui parte ancora si conserva, i ruderi delle cellette scavate nel sasso, o appositamente costruite, i ricordi delle chiese e chiesette di S. Benedetto, S. Antonio Abate, San Giovanni Battista, S. Nicola, che ricorrono qua e là nei pochi documenti che ancora ci restano, son prova della vita monastica. che si conduceva in questo promontorio.
Si sa di sicuro che nel 1038, Ugo figlio di Amezone, che fu Conte urbano di Osimo, la moglie Adelasia, Amezone figlio del fu Maurizio, Eufredo figlio del fu Amezone donarono in perpetuo ai monaci e, per essi, all’ Abate Guimezone, la Chiesa di S. Pietro, posta sul Conero, nel territorio di Numana, dipendente da Osimo, collo scopo di istituirvi un monastero di uomini che attendessero al servigio di Dio e pregassero il Signore per l' incolumitá dei vivi e il riposo dei morti. Concessero pure il terreno intorno alla Chiesa, e la Chiesa di S. Benedetto con la relativa grotta. Aggiunsero ancora 315 moggia (pari a circa quintali 2835 di sementa) tra terra arativa, selva e vigna. Amezone per suo conto vi unì una carretta di vino all’ anno e la terra vicino al mare.
Dieci anni dopo i possedimenti furono accresciuti per opera del monaco Attone, rettore della Chiesa di S.Antonio, che donò al Monastero stesso le Chiese di detto Santo con tutti i suoi annessi e connessi: libri, paramenti, campane, colline, vigne, terre, oliveti, campi, selve, acque e appartenenze di qualunque genere. In tutto il sec. XIII e XIV si ha memoria di altri Abati e di qualche loro atto. Ricordiamo Camperone, a cui fu fatta la donazione di Attone, Pietro che costruì il Chiostro, Frà Nicola osimano e Landolfuccio da S. Severino. Nel 1384 Bonifacio IX volle riservato ai Papi il decreto di nomina degli Abati, e da quel tempo vi furono molti Abati cosiddetti Commendatari, per i quali il titolo era più che altro un onore e un beneficio, senza lavoro e responsabilità.
Si ricorda che verso il 1440 la rendita del Monastero fosse di 130 fiorini d' oro. In quei tempi i monaci non dovevano esser molti, né molto amanti dell’ antica disciplina se verso il 1463 il B. Antonio Fatati, un vescovo, secondo il Peruzzi, quale S. Paolo insegna: nelle sue lettere a Timoteo e Tito, invitò al Conero i Camaldolesi di Valle di Castro, coll’ intenzione di trasmettere a essi tutte le rendite del Monastero. Ma per il momento la cosa non ebbe forse a effettuarsi perchè, lasciando parecchi particolari, troviamo che nel 1514 il Municipio di Ancona concesse S. Benedetto, che forse non spettava più all’ Abbazia di S. Pietro, a un Benedettino, allora libero eremita, Frà Desiderio di Napoli, e che questi nel 1521, dopo aver preparata per se e i suoi un sufficiente numero di celle, la cedette al B. Paolo Giustiniani, che venendo da Camaldoli, in Toscana, stava allora nelle grotte di Massaccio, intento a diffondere la sua religione nel Piceno. In questo modo l’ Eremo di S. Benedetto fu avuto dalla Congregazione camaldolese di S. Romualdo, detta poi di Monte Corona.
Ma tra i Gonzaghiani dell’ alto, e i Camaldolesi del basso non correva buon sangue. I primi con insulti, minacce, danneggiamenti, rovescio di grossi macigni, molestavano la quiete dei sottostanti e cercavano tutte le vie per indurli ad allontanarsi. Né bastò qui. Ordirono presso i superiori tal trama di accuse che ottennero un decreto di sfratto contro il B. Giustiniani, e quindi la sua prigionia, prima nelle carceri ecclesiastiche di Ancona, poi nel Convento dei Francescani di Macerata, donde non potè uscire se non al patto di abbandonare le grotte di S. Benedetto e far ritorno a Massaccio. Il Card. Protettore dei Camaldolesi fece protesta al Card. Legato della Marca e al Vescovo di Ancona, ottenendo che il B. Giustiniani ritornasse a S. Benedetto, dove nel 1524 potè tenere il Capitolo generale della sua Congregazione.
Nel 1558 un incendio devastò gran parte della Chiesa di S. Pietro. I Gonzaghiani non vollero, o non poterono pensare alla ricostruzione e tenevano la Chiesa quasi abbandonata. Allora il Vescovo De Locchis la donò ai Camaldolesi che erano nelle grotte di S. Benedetto, e cosi i due Eremi furono nuovamente riuniti. Primo Abate dei Camaldolesi in S. Pietro fu Rodolfo da Verona. Da allora i Camaldolesi continuarono ad abitare il Conero, rimanendovi fino alla legge di soppressione.
 
tratto da
Guida Ricordo di Numana
di Cesare Romiti
1927

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