La Battaglia di Castelfidardo

monumento a Cialdini foto tratta dal sito del comune di Castelfidardo Ricordi patriottici in queste pagine del Romiti che ci riportano all' Unità d' Italia e alla grande Battaglia che si svolse alle confinanti Crocette di Castelfidardo e che videro pertanto anche il nostro territorio interessato all' evento storico: a Numana cadde l' ultimo vessillo pontificio … 150 anni fa
Il nome di Numana va unito a quello di Castelfidardo nella celebre battaglia del 18 settembre 1860 tra le truppe italiane condotte dal Cialdini e quelle pontificie condotte dal Gen. De Lamoriciere, perchè si può dire che la battaglia ebbe l' ultimo
episodio nel territorio di Numana, a traverso del quale avvenne la ritirata del Generale pontificio. Di questa ritirata ci piace dare la narrazione attingendola de due fonti avverse e quindi completantisi, la Campagna delle Marche e dell' Umbria, stampata a cura del Ministero della Guerra (Vigevano Attilio - Le campagne delle Marche e dell’ Umbria. Roma, Ammin. Guerra, 1923) e, il Rapporto del Gen. De Lamoriciere al Ministero delle Armi (Rapporto di S. E. il Gen. De Lamoriciere a S. E. il Ministro delle Armi intorno alle fazioni guerresche combattute dall’ esercito pontificio nel Settembre del 1860 - Roma, Tip. Civ. Catt. 1860).
Dopo la sconfitta alle Crocette l’ esercito pontificio si trovò in grande disordine: alcuni fuggirono a Loreto disponendosi a difesa, altri a Porto Recanati, tutti in stato morale deplorevole; del Gen. De Lamoriciere chi diceva fosse morto, chi si fosse imbarcato per Ancona. Egli realmente non era imbarcato ma diretto colà per via di terra, insieme con una colonna di circa 400 uomini che era  riuscito a mettere insieme, animandoli con la presenza e la parola. "La componevano" scrive il Vigevano "i 45 cavalleggeri del capitano Zichy e circa 350 fanti di ogni specie, con buon numero di ufficiali, fra i quali primeggiavano i maggiori Bell e Dupàsquier. Il generale De Lamoriciere ordinò allo Zichy di precedere sulla via di Umana allo scopo di riconoscere il terreno e vedere se la via era libera. In testa alla piccola colonna di fanteria si pose il capitano Delpèch colla bandiera del 1° reggimento estero. Gli esploratori dello Zichy ritornarono dicendo che la via era libera; senonché, arrivata la colonna a poca distanza del porto di Umana fu, d’ improvviso e non da lungi, accolta da un vivo fuoco di fucileria che la obbligò ad accostarsi alla spiaggia e a porsi al coperto dietro il ciglione costiero. Il colonnello brigadiere Avenati, dal poggio di S. Pellegrino, aveva visto frotte di pontifici dirigersi dal Musone su per il Concio; allo scopo di tagliar loro la ritirata era sceso, con tutto il 9° reggimento fanteria all’ Aspio e, appena passatolo, aveva diretto due battaglioni al paese di Umana e sei compagnie  al comando del tenente colonnello Durandi, alquanto più a sud, in modo da risultare distanti circa un chilometro e mezzo dal grosso del reggimento. Erano appunto queste le sei compagnie che, pervenute sul fianco della colonna pontificia, l’ avevano fatta segno alla loro fucilata. Tentarono i pontifici di resistere, ma attaccati risolutamente, andarono a rifascio. Molti si sbandarono verso il Musone, molti verso la marina: inseguiti dappresso, alcuni cercarono di opporre un’ ultima resistenza: però, ferito il maggiore Bell ed il capitano Godlin, caduti circa 25 soldati, dovettero arrendersi: 19 ufficiali e 223 uomini di truppa caddero prigionieri; alcuni, fra cui un ufficiale, piuttosto che cedere preferirono gettarsi in mare e vi trovarono la morte. Nel trambusto il generale De Lamoriciere riusciva a fuggire e con lui i 45 cavalleggeri dello Zichy e 36 fanti, che erano rimasti raccolti attorno al capitano Delpèch e alla bandiera del 1° reggimento estero, portata dal sergente maggiore Petrelly. Questi pochi avanzi si diressero, per la strada di Sirolo e per le boscaglie, al monastero dei Camaldolesi di monte Conero.
Se Massignano e monte Conero fossero stati occupati a tempo da uno dei battaglioni posti a Camerano, non v’ è dubbio che anche quei pochi fuggiaschi e il generale De Lamoriciere in persona sarebbero caduti prigionieri; poterono invece pervenire, senza difficoltà, al convento e fermarvisi un quarto d’ ora, a prendere fiato.
Da lassù il comandante pontificio ebbe la visione completa dell’avvenire che lo attendeva: sulle acque d’Ancona si designavano nitide le navi della flotta italiana che, in stretto cerchio, stringevano la città, ostacolando ogni comunicazione marittima; a sud si stendeva il il campo di lotta dal quale egli usciva allora vinto ed ad occidente disegnavansi, qua e là, linee nemiche, già accennanti alla morsa di ferro che doveva rinserrare la piazzaforte dalla parte di terra. Da quell' altezza egli ebbe così la comprensione che, colle poche forze rimaste in Ancona, solo un sollecito aiuto dell’Austria poteva salvarlo: ma rammentando il tanto e vano atteso intervento francese,non credette più neanche a quell' aiuto e per un momento disperò, poi. dopo aver esclamato come a programma e a motto futuro la frase "cadere con onore" proseguì rapidamente su Ancona.
Mezz’ ora dopo che il generale De Lamoriciere aveva lasciato Massignano vi giungeva un battaglione del 23° reggimento fanteria guidato dal capitano Minonzi; e più tardi, un drappello di 25 uomini, guidati del capitano di stato maggiore Mazzoleni, occupava i poggi di Sirolo: questi nuclei, sebbene arrivati quando il comandante pontificio era sfuggito, poterono sorprendere altri 23 soldati del battaglione cacciatori e farli prigionieri. Ormai tutti i passaggi erano intercettati e solo altri 29 pontifici, alla spicciolata, riuscivano per via di terra, favoriti, dalla boscaglia e dalla loro stessa esiguità, a giungere ad Ancona, ed altri 17 a pervenirvi per via di mare, di modo che di tutti l componenti l' esercito, che il generale De Lamoriciere si ere prefisso di condurre in Ancona, solamente 127 furono coloro che vi poterono pervenire, apportatori della demoralizzante notizia della completa sconfitta".
Così il colonnello Vigevano.
Il Gen. De Lamoriciere nel suo Rapporto accenna al progetto che egli aveva, anche prima della battaglia alle Crocette, di giungere in Ancona. Escludendo le vie di Osimo e di Camerano per i motivi che espone nel suo scritto, egli pensava che l’unica speranza di chiudersi in Ancona, gli sarebbe stata data dal passaggio per il Conero.
" Questa via si unisce a quella di Loreto a Porto di Recanati, si dirige verso un guado del Musone posto un poco di sopra al confluente dell’Aspio, va ad Umana, passa a Sirolo, Massignano, Poggio, Cascia, Camerano a 3000 metri circa sopra la sinistra, quindi per il lido va ad Ancona. Da Loreto fin presso al guado del Musone la via è buona e selciata. Dal guado fino ad Umana per un tratto di circa 3000 metri bisogna battere vie di campagne che non sono praticabili in tutte le stagioni, poi si ritrova una via che dalle Crocette va ad Umana, donde fino ad Ancona la via è selciata per quattro leghe e mezzo. Il nemico non occupava questa via. Qualche vedetta solamente era stata veduta quel giorno verso Umana dagli abitanti del paese e da uffiziali posti in osservazione e forniti di cannocchiali: e queste stesse vedette si erano ritirate al giungere della notte. Tenendo per questa via io assaliva l' estremità dell’ala sinistra, io mi appoggiava o al mare, o ai terreni impraticabili della montagna, e se qualche difficoltà della via mi obbligava ad abbandonare una parte dei miei bagagli, ciò era per me un inconveniente minimo nella condizione in cui mi trovava. Risolsi dunque di appigliarmi a questo partito, e feci il mio piano pel combattimento e per la marcia."
Il suo disegno fu mandato a vuoto dallo scontro alle Crocette. Il Gen. De Lamoriciere narra le fasi dello scontro, la ferita e la morte del Gen. Pimodan e il panico che invase l’esercito pontificio. Ritirarsi a Loreto, sia per la demoralizzazione della truppa, sia per la mancanza di viveri, avrebbe voluto significare una rapida capitolazione. Quindi egli prosegue nella sua idea di recarsi in Ancona.
" Gli ufficiali, che io avevo mandato per raccozzare i nostri fuggiaschi erano riusciti a formare una colonna di 350 a 400 uomini che avendo traversato il fiume sopra il confluente dell’Aspio, entrava nelle vie di Umana. Per battere con sicurezza quella via, ordinai al capitano Zichy di condurvi i suoi cavalli leggeri e per questo di far riconoscere un guado su l’Aspio ed i passaggi sopra i fossi di prosciugamento che tagliano la pianura tra le due riviere. Questa riconoscenza fu fatta prontamente, e subito i cavalli leggieri marciarono verso Umana innanzi alla nostra fanteria. Volendo far battere la stessa strada alla cavalleria ed evitare ogni errore, io lasciai uno de’ miei uffiziali per indicare la via che essa doveva seguitare. Essa non arrivava però e di quattro volontari a cavallo che io aveva inviati alla sua ricerca, due ritornarono dicendomi che non l’ avevano trovata, i due altri non tornavano. La ritirata de’ dragoni dall’una parte, e dall’altra un cambiamento di posizione che avevano fatto i volontari a cavallo, per non restare inutilmente esposti agli obici del nemico, ma senza prendere la precauzione di spingere avanti vedette che potessero farli scoprire, era stata la causa di questo deplorabile contrattempo. Io rimanevo con 45 cavalli solamente, giacchè, per una nuova sventura, l' uffiziale che comandava il quarto plotone de’ cavalli leggieri, essendo caduto nel traversare un canale presso la riviera aveva ritardato la marcia del suo drappello, e si era ritirato verso la riviera. Io mi resi allora presso la colonna di fanteria che io era riuscito a porre per la via di Umana. Essa era comandata dai Maggiori Dupasquier e Bell con buon numero di uffiziali; alla sua testa marciava il capitano Delpèch colla bandiera del primo Estero preceduta da qualche tamburo che batteva la marcia del reggimento. I vecchi soldati che erano intorno alla bandiera mostravano buona disposizione; io indirizzai loro qualche parola e aveva concepito buona speranza sopra ciò che essi avrebbero fatto. Il capitano Zichy aveva inviato tre vedette ad Umana per sapere se era vero, secondo che dicevano gli abitanti del paese, che questa città non era occupata dal nemico. Sapemmo infatti che la via era libera. Dunque coi miei uffiziali, con 45 cavalieri e 350 uomini di fanteria, io era per tentare di arrivare in Ancona. Questo numero doveva ancora diminuirsi. Continuando la nostra marcia verso Umana, vedemmo su la nostra sinistra una cinquantina di bersaglieri piemontesi spiegati in tiragliori che si avanzavano verso il mare. Essi cominciarono tosto il fuoco sopra il fianco e sopra la coda del nostro corpo di fanteria. Questo rispose con un fuoco di fila e poco dopo, la metà, compresi i due uffiziali superiori, si pose in salvo verso la riva del mare e depose le armi.  Circa 80 uomini col capitano Delpèch intorno alla loro bandiera continuarono a marciare sopra la via da me indicata. I bersaglieri piemontesi si contentarono di condurre seco i loro prigionieri, e cessarono d’inquietare il resto della
nostra piccola colonna che continuò la marcia verso Ancona. Noi traversammo Umana e Sirolo: coloro che trovavamo per via ci dicevano che la strada era libera fino ad Ancona, ma che Camerano era fortissimamente occupato. Ora partendo da Sirolo la via inclina a sinistra, serpeggia sul fianco del Monte di Ancona opposto al mare, e per quasi due leghe resta in vista di Camerano dond’è separata da un fosso profondo. Oltre Camerano, una buona via di comunicazione va a raggiungere questa strada a Poggio piegando verso Ancona. Era da credere che le truppe di Camerano ci avrebbero veduto, ed esse potevano facilmente venirci a sbarrare la strada. Queste considerazioni c' indussero a lasciar quella via, ed a prendere a destra un sentiero che traversa la macchia e che con salite molto ripide conduce al convento dei Camaldolesi. Al punto dove io abbandonati la via lasciai due bravi contadini, che mi giurarono per la Madonna di Loreto che essi rimanevano là fermi, per indicare a quei che mi inseguissero la via che io aveva presa; ed essi mantennero la loro promessa. I reverendi Padri del convento ci ricevettero molto bene; mi assicurarono di nuovo che la via era libera; sicché dopo una fermata di un quarto d’ora, per riunire la nostra piccola colonna, noi ci rimettemmo in via, seguendo in mezzo ai boschi il cammino che conduce alla vetta sopra cui è posto il telegrafo; di là discendemmo per un sentiero poco innanzi di Poggio. Durante questo tragitto che si compie facilmente noi scoprimmo la squadra che bombardava Ancona; del cui cannone già da qualche tempo si udiva il rumore. Non eravamo più che a due leghe e mezzo da Ancona e a 6900 metri dalle nostre avanguardie. Alle 5 ore e mezza noi entravamo nella città: il bombardamento durava ancora e si prolungò fino alla notte, durante la quale non cessò interamente il fuoco".
Fra gli altri scrittori che hanno accennato alla fuga del Gen. De Lamoriciere si possono consultare il Capitano Vigevano nell’ altra sua opera Fine dell' esercito pontificio pubblicata nel 1923 dall’ Ufficio storico del Ministero della Guerra, l’ Alessandrini nei Fatti politici delle Marche, e il numero unico del Picenum (Sett. 1912) contenente un articolo del Gen. Emilio Castelli, che nel ’6O era Ufficiale di Stato maggiore del Cialdini, e alcune reminiscenze personali del notaio Enea Marini di Loreto.
In paese vive ancora la memoria del Gen. De Lamorciere il quale, si rammenta, abbeverò il suo bianco cavallo nella Fontana di Piazza, proseguendo per il Conero, ma sbagliando strada. Al Conero avrebbe fatto colazione con pane e formaggio. Si racconta anche di un papalino che veniva verso Numana lungo la Spiaggia, e che, avvistato dall’ alto da alcuni Piemontesi, ebbe l’ intimazione di arrendersi. Avendo invece risposto con una fucilata, una scarica dall’ alto lo atterrò. Fu sepolto presso la località denominata le Fontanelle, in un terreno di proprietà dell’ Ing. Gigli. A pochi passi della casa di questo, a Numana bassa, sarebbe poi stata tolta ai pontifici l’ ultima loro bandiera. Qui ci piacerebbe aggiungere qualche notizia particolare sul patriottismo dei cittadini numanesi, ma la scarsezza di notizie positive ci impedisce di appagare come vorremmo questo nostro desiderio. Che Numana sia rimasta estranea al movimento nazionale noi non crediamo; l’ influenza di Ancona e di Osimo, centri allora di patriottismo, e la stretta vicinanza con Sirolo che con Pacifico Bontempi, Zefirino Urbani, Pietro Mengozzi, Giacomo Gigli, Angelo Pichi, che aveva colà una sua villa, tanto contributo dette alla causa italiana, ci lasciano supporre, che anche a Numana attecchissero le idee di libertà e di indipendenza. Ma forse la mancanza a Numana di qualche famiglia che in certo modo assommasse in sé il movimento, può aver fatto sì che esso sia stato monco e frastagliato e, ristretto all’ elemento marinaresco, abbia lasciato di sé poca memoria. Tuttavia non va dimenticato il nome del capitano marittimo Giuseppe Moscatelli, che col suo brigantino superò il Capo di Buona Speranza e si spinse fino ai più lontani porti delle Indie. Decorato nel 1845 da Gregorio XVI per meriti marinareschi e nel 1846 dal Governo francese per avere, in una grossa burrasca lungo le coste della Crimea, salvato - avec courage et dèvounement – equipaggio e passeggeri della goletta L’ Antoinette, ebbe anche meriti patriottici. Appartenente alla Massoneria, affigliato ai cospiratori., non prese parte a fatti d’arme; ma per incarico di Mazzini, di cui vantava l’ amicizia, trasportava clandestinamente notizie, persone e armi, specialmente fucili, che caricava da Genova, nascondendoli nella stiva del bastimento. Quando doveva passare per lo Stato romano innalzava bandiera pontificia e così nessuno lo molestava. Dal 1849 al 1860, ritornati i Tedeschi, il Moscatelli continuò a procurare lo scambio di corrispondenze tra i cospiratori e i nostri profughi in Grecia e in Turchia. Durante la Guerra di Crimea trasportava al Mar Nero ugualmente armi ed armati. Un fratello, Giovanni, prese parte alla campagna del 1848 e forse fu alla difesa di Ancona nel 1849. Una sua nipote fu presa in moglie
da Vincenzo Nobili, il quale, quantunque Loretano, i Numanesi per la sua lunga permanenza nel loro Comune, consideravano come loro concittadino. Il Nobili disertò dall’esercito pontificio per passare in quello Piemontese, col quale si trovò alla battaglia di Castelfidardo; poi arruolatosi con Garibaldi nel 1865 partecipò alla campagna nel Trentino. Parimente disertore dall’ Esercito pontificio fu Giuseppe Quartucci, che con Sebastiano Cappanera prese parte nel 1859 alla Battaglia di S. Martino. Un buon contingente dette Numana alla battaglia di Lissa (20 luglio 1866) foto della battaglia di Lissa tratta dal web con i suoi bravi marinai. Ricordiamo Luigi Lorenzetti, Lorenzo e Nazzareno Antognoni, Giacomo Magrini, Angelo Giulietti, che fu uno dei primi allo sbarco, e Giuseppe Calducci, incaricato di rimorchiare una corazzata che avea perduto il timone. Si approssimò alla nave nel momento in cui questa saltava in aria perchè era stato dato fuoco alla polveriera. Con molta probabilità si tratta della corazzata Palestro, sulla quale era imbarcato il marinaio di Numana, ora ricordato, Nazzareno Antognoni, che vi trovò la morte. Vi e anche memoria di Giuseppe Ruggeri e di un Moscatelli (forse da non confondersi con quelli nominati sopra) che s' imbarcarono a Genova nelle spedizioni successive a quelle dei Mille.
Queste le poche notizie che abbiamo potuto mettere insieme raccogliendole con molto stento dalla viva voce di superstiti, o amici e parenti di superstiti.
Ma chi ci assicura da inesattezze e omissioni ?

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