La Grotta degli Schiavi
"Nella montagna di Ancona, che isolata sorge innanzi all’Adriatico, che ne bagna i piedi, si apre una profonda grotta che ha nome degli Schiavi. La fanno bella e poetica il tetro aspetto interno, le piante che la circondano, il sorriso del cielo azzurro, e il sorriso o l' ira del bel golfo, secondo la calma o la tempesta che possiede le acque. Si vedono nel suo grembo varie cavità, dei massi, qualche filo di sorgente perduto nel tufo, bizzarre forme di stalattiti e qualche pianticella che, germogliata gracilmente verso la bocca della grotta, si piega a, cercare il raggio del sole. Nel silenzio del luogo rompe il sussurro dell' insetto e copre aride foglie ivi portate dal vento, si sente il volgersi degli anelli del verme, e si scopre, attorcigliato nelle sue spire vicino ad un sasso, muscoso il serpente."
Queste descrizione poetica e di un nostro marchigiano, Luigi Cicconi, di S,Elpidio a mare, improvvisatore e scrittore celebre ai suoi tempi, e serve come di preambolo a una novella, intitolata appunto La Grotta degli Schiavi, che, più parto forse della fantasia del poeta che delle leggende, prosegue lunga e abbastanza monotona, narrando di un naufrago che approdò nella Grotta, di una ragazza da lui amata, che egli chiamava le zingara, e che ivi sarebbe morta. e sarebbe stata sepolta, e quindi di lotte fra barbareschi e gente del luogo, che avrebbero avuto per teatro d' azione prima le vicinanza della Grotta, poi l’ Oriente. Si può leggere per intero nelle Tradizioni e leggende italiane raccolte da Angelo Brofferio (Torino, Fontana, 1847). Della Grotta degli Schiavi parlò anche l’avv. Ubaldi nell' articolo già citato delle Vie d’Italia, dicendo che essa mostra i suoi due ingressi strani sotto i quali sembra impossibile passare ritti, e la cui volta interna striata da mille colori non è raggiungibile da getto di sasso.
Leggendo queste righe stampate nel 1921 si sarebbe indotti a credere che allora la grotta ancora esistesse. Al contrario, in quell' anno essa era già scomparsa e forse l' articolo fu scritto qualche tempo prima di essere stampato. Una grossa frana caduta nel 1920, il penultimo giorno di carnevale, in seguito ad antecedenti piogge torrenziali, ne ostruì quasi per intero le bocca.
Secondo il prof. Francesco De Bosis che le dedicò una breve monografia nel vol. III degli Atti della Società italiana di Scienze naturali in Milano e in opuscolo separato (Milano, Bernardini, 1861), la Grotta degli Schiavi era la più fantastica meraviglia che la natura abbia creato in questi dintorni.
Donde le sia derivato il nome non si sa di preciso. Dalla tradizione sembra potersi rilevare che servisse di asilo alle galee turchesche che costeggiavano l' Adriatico, e che quindi prendesse la denominazione non da schiavi (ridotti in schiavitù), ma da Schiavi (abitanti della Schiavonia). Sulle incursioni barbaresche nella nostra costa non v’è dubbio. A difesa di esse erano fortificazioni a Loreto, Porto Recanati, Aspio e non si esclude che in qualche tempo anche la Torre di Numana abbia potuto servire a tale scopo.
Era una grotta naturale, scavata nei fianchi del Conero dalle onde del mare, che ivi è quasi sempre tempestoso, lunga circa 70 metri, nella quale la luce andava gradatamente perdendosi tra i massi variopinti e tra le pareti tappezzate da muschi e licheni, fecondata da acque stillanti dall’ alto, e spesso lascianti tracce ferruginose.
Aveva due aperture, dall’ una delle quali, la principale, si poteva entrare per mezzo della barchetta, finché, dopo circa 20 metri, il suolo si alzava formando spiaggia, "Segue" così descrive il De Bosis "una vasta ed elevata sala, dove mette ancora il secondo ingresso. Ha il suolo coperto tutto di ghiaia e di ciottoli, e sparso di massi: le pareti scabre e piene di prominenze, la volta maestosa ed ineguale, dalla quale stillano a goccia a goccia le acque filtrate. In fondo alla sala la volta si abbassa, le pareti si avvicinano, il suolo a mano a mano s’innalza, la direzione serpeggia e così le dimensioni si fanno sempre più anguste fino al termine".
Giustamente quindi nel 1900 l’ Ufficio regionale per la conservazione dei Monumenti per le Marche ed Umbria contro una progettata demolizione della Grotta scriveva che, per quanto la Grotta degli Schiavi non potesse pretendere alla celebrità di altre grotte famose, pure "è difficile trovare fra gli abitanti delle Marche chi sentendone la pittoresca descrizione non sia stato tentato a visitarla" ed aggiungeva che quello speco non comune, vero giuoco di natura, ludus naturae, destava la curiosità, la quale poi non rimaneva certo delusa.
Peccato che la sua scomparsa non possa destare in noi questo piacere e che siamo costretti ad ammirare le sue bellezze solo nelle incisioni e nelle fotografie!
Queste descrizione poetica e di un nostro marchigiano, Luigi Cicconi, di S,Elpidio a mare, improvvisatore e scrittore celebre ai suoi tempi, e serve come di preambolo a una novella, intitolata appunto La Grotta degli Schiavi, che, più parto forse della fantasia del poeta che delle leggende, prosegue lunga e abbastanza monotona, narrando di un naufrago che approdò nella Grotta, di una ragazza da lui amata, che egli chiamava le zingara, e che ivi sarebbe morta. e sarebbe stata sepolta, e quindi di lotte fra barbareschi e gente del luogo, che avrebbero avuto per teatro d' azione prima le vicinanza della Grotta, poi l’ Oriente. Si può leggere per intero nelle Tradizioni e leggende italiane raccolte da Angelo Brofferio (Torino, Fontana, 1847). Della Grotta degli Schiavi parlò anche l’avv. Ubaldi nell' articolo già citato delle Vie d’Italia, dicendo che essa mostra i suoi due ingressi strani sotto i quali sembra impossibile passare ritti, e la cui volta interna striata da mille colori non è raggiungibile da getto di sasso.
Leggendo queste righe stampate nel 1921 si sarebbe indotti a credere che allora la grotta ancora esistesse. Al contrario, in quell' anno essa era già scomparsa e forse l' articolo fu scritto qualche tempo prima di essere stampato. Una grossa frana caduta nel 1920, il penultimo giorno di carnevale, in seguito ad antecedenti piogge torrenziali, ne ostruì quasi per intero le bocca.
Secondo il prof. Francesco De Bosis che le dedicò una breve monografia nel vol. III degli Atti della Società italiana di Scienze naturali in Milano e in opuscolo separato (Milano, Bernardini, 1861), la Grotta degli Schiavi era la più fantastica meraviglia che la natura abbia creato in questi dintorni.
Donde le sia derivato il nome non si sa di preciso. Dalla tradizione sembra potersi rilevare che servisse di asilo alle galee turchesche che costeggiavano l' Adriatico, e che quindi prendesse la denominazione non da schiavi (ridotti in schiavitù), ma da Schiavi (abitanti della Schiavonia). Sulle incursioni barbaresche nella nostra costa non v’è dubbio. A difesa di esse erano fortificazioni a Loreto, Porto Recanati, Aspio e non si esclude che in qualche tempo anche la Torre di Numana abbia potuto servire a tale scopo.
Era una grotta naturale, scavata nei fianchi del Conero dalle onde del mare, che ivi è quasi sempre tempestoso, lunga circa 70 metri, nella quale la luce andava gradatamente perdendosi tra i massi variopinti e tra le pareti tappezzate da muschi e licheni, fecondata da acque stillanti dall’ alto, e spesso lascianti tracce ferruginose.
Aveva due aperture, dall’ una delle quali, la principale, si poteva entrare per mezzo della barchetta, finché, dopo circa 20 metri, il suolo si alzava formando spiaggia, "Segue" così descrive il De Bosis "una vasta ed elevata sala, dove mette ancora il secondo ingresso. Ha il suolo coperto tutto di ghiaia e di ciottoli, e sparso di massi: le pareti scabre e piene di prominenze, la volta maestosa ed ineguale, dalla quale stillano a goccia a goccia le acque filtrate. In fondo alla sala la volta si abbassa, le pareti si avvicinano, il suolo a mano a mano s’innalza, la direzione serpeggia e così le dimensioni si fanno sempre più anguste fino al termine".
Giustamente quindi nel 1900 l’ Ufficio regionale per la conservazione dei Monumenti per le Marche ed Umbria contro una progettata demolizione della Grotta scriveva che, per quanto la Grotta degli Schiavi non potesse pretendere alla celebrità di altre grotte famose, pure "è difficile trovare fra gli abitanti delle Marche chi sentendone la pittoresca descrizione non sia stato tentato a visitarla" ed aggiungeva che quello speco non comune, vero giuoco di natura, ludus naturae, destava la curiosità, la quale poi non rimaneva certo delusa.
Peccato che la sua scomparsa non possa destare in noi questo piacere e che siamo costretti ad ammirare le sue bellezze solo nelle incisioni e nelle fotografie!
tratto da
Guida Ricordo di Numana
di Cesare Romiti
1927
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