Conca, caldaru e rola …
Prendiamo dimestichezza coi nomi dei vari oggetti di uso comune nelle case dei numanesi del secolo scorso. La cosa che salta all'occhio da questo racconto del Marchetti è che non c'erano i fuochi a gas delle moderne cucine ma una cosa maledettamente complicata da gestire per cucinare: la ròla .. per fortuna che non c'era granché da preparare visto che il cibo in generale scarseggiava. Un detto che ricordo anch'io diceva che era difficile mettere d'accordo il pranzo con la cena, nel senso che se pranzavi non era detto che avresti anche cenato .. o viceversa
nella foto vedete un moderno fornello a legna tratto dal web ma provate ad immaginare un qualcosa di simile in muratura, spesso ricavato sotto alle scale che portavano alla camera, con delle feritoie atte a bruciare legna sotto a dei fornelli in ferro e immancabile la "ventola" di penne di tacchino (dìndolo) per alimentare la fiamma .. immaginatevi anche il fumo e l'odore acre che sovrastava quello dei cibi peraltro all'epoca .. scarsamente appetibili ..
Tradizionalmente, per i numanesi, la casa è stata sempre l'obiettivo principale da raggiungere. Per avere un'abitazione propria si faceva qualsiasi sacrificio, anche limitando l'alimentazione. Chi non aveva una casa propria era costretto a ricorrere all'affitto, e come dicevano le donne anziane i mesi erano "fitti", riferendosi al pagamento dell'affitto mensile. Come per tutte le cose, anche per la casa, le possibilità economiche delle famiglie facevano la differenza tra chi aveva una casa molto modesta e chi si poteva permettere una casa degna di questo nome. Entrando nei particolari ed esaminando il primo periodo preso in esame, possiamo affermare che l'abitazione delle famiglie povere era, quasi sempre, di due stanze, la cucina e la camera da letto. In alcune famiglie numerose anche la cucina, di sera, si trasformava in camera da letto.
La cucina, era sempre al piano terra e l'ingresso era direttamente sulla strada,, in alcuni rari casi non aveva il pavimento e chi lo aveva era fatto di mattoni fatti a mano. L'illuminazione era con il lume a petrolio o con le candele, quando arrivò la luce elettrica (1912), alcune famiglie, che non avevano tante possibilità economiche, per risparmiare avevano una sola lampada da 5 watt e veniva "trasferita", attraverso un buco sul pavimento, dalla cucina del piano terra alla camera del primo piano, secondo le necessità di illuminare.
Le due stanze erano così "arredate": in cucina c'era la "conca" ( madia ) che serviva per fare il pane, comprendeva anche la "spianatora" (tavola) per impastare la "crescia" (pizza casereccia), nel vuoto sotto, che si poteva accedere dai due sportelli frontali, potevano essere collocate le poche pentole di "coccio" e altri utensili per la cucina.
Alcune volte ci si deponevano le "pagnotte" di pane cotto, altre volte le pagnotte si deponevano, allineate, sopra una tavola fissata al muro e coperte con un telo; il pane si faceva in casa una volta ogni 10-15 giorni.
Una piccola "credenza" o un "cantonale" (mobilio), collocato in un angolo per non occupare tanto spazio, contenevano alcuni bicchieri, tazze, piatti, fiamminghe (piatti grandi o scodelle da portata), alcune volte contenevano alcuni servizi appartenuti a vecchi familiari e messi in bellavista.
Il tavolo con qualche sedia, quando si mangiava, in alcuni casi, non c'erano le sedie per tutti, i figli più piccoli stavano nel "sediò" (seggiolone), anche se erano grandicelli, altri sulle gambe dei genitori.
La funzione più importante era svolta dalla "rola", lì si "cucinava", in questo luogo erano rivolti tutti gli sguardi dei componenti della famiglia quando entravano in cucina, lì erano riposte tutte le speranze per soddisfare e calmare gli appetiti e le esigenze alimentari di tutti. La "rola" era un piano in muratura a ridosso del muro, alta circa un metro, larga circa 50 centimetri e lunga un metro e cinquanta o anche due metri secondo l'ampiezza della cucina, ai lati estremi due fornelli (boccole) per cucinare con piccole pentole. Le grandi e prolungate cotture, soprattutto l'erba de campo e la polenta, veniva cotta sul "caldaru" con la legna che molto spesso era quella raccolta sulla spiaggia durante le mareggiate.
Il "caldaru" era collocato al centro della "rola", nell'apposito vuoto ricavato sulla parete della cucina, chiamato "fogu de mezzu".
Sopra questo vuoto era collegato il camino che portava all'esterno, attraverso il tetto, i fumi prodotti dalla legna. Prima dell'inizio della canna fumaria era collocato un ferro che permetteva l'aggancio del "caldaru". In questo "fogu de mezzu" veniva prodotta anche la "brage"per alimentare i fornelli posti ai lati della "rola". A fianco della "rola" c'era il "lavandì de graniglia" con sopra la brocca in terracotta che conteneva l'acqua. Le piccole cose venivano lavate nel "lavandì", quando la pulizia di alcune verdure richiedeva tanta acqua venivano lavate alla "fonte" (fontana pubblica), per risparmiare il trasporto dell'acqua che in alcuni casi la "fonte" era abbastanza lontana. In qualche punto della cucina c'era la scala per salire in camera e il più delle volte nel sottoscala
veniva ricavato un posto chiamato "camburì" (camerino, stanzino). Nel "camburì" venivano riposte tutte le cose che si usavano in cucina e che erano abbastanza sporche e ingombranti per tenerle alla vista in cucina. Le cose più comuni erano: la padella per friggere, la "serva" (trepiedi per appoggiare la padella durante le cotture), il sacco del carbone, la legna per alimentare il fuoco, la "staccia" (setaccio), per "stacciare" la farina quando si faceva il pane, il sacco della farina (nelle famiglie più agiate ), "el caldaru, el bruschì" (per bruscare l'orzo, il caffè dei poveri), e altre cose. Il "taccarame", (strisce di legno unite, con vari ganci), serviva per agganciare le pentole di rame, alcune volte era collocato in cucina, altre nel "camburì", questo "attrezzo" era riservato a famiglie non tanto povere.
Era frequente trovare in cucina, in un angolo, il telaio per tessere la tela. La camera da letto era abbastanza semplice, oltre al letto matrimoniale normalmente c'era un "baule" con tutta la biancheria che la donna portava in "dote" dal matrimonio. L'armadio dove venivano appesi i pochi vestiti, un pettinatore con la specchiera, due comodini ai lati del letto per appoggiare qualche cosa, davanti avevano uno sportello, dentro veniva riposto, tra l'altro, anche l'indispensabile "urinale" per le necessità fisiologiche notturne. Qualche sedia completava l' arredo della camera.
tratto
DAL PASSATO AL PRESENTE NUMANESE
ricordi della tradizione
di Pietro Marchetti Balducci
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