La polenta sulla spianatora

foto indicativa tratta dal web 
In questo racconto del Marchetti vediamo quella che è stata l'evoluzione alimentare a Numana basandoci sui racconti dei nostri nonni e dei loro nonni fino a risalire quindi al 1800. Voglio solo aggiungere per quanto riguarda il piacevole passaggio della polenta sulla spianatora che mio nonno era imbattibile, ovvero arrivava sempre primo al traguardo del condimento centrale e solo in un' occasione venne battuto da mio padre: durante una licenza nel periodo bellico della seconda guerra mondiale.
L' EVOLUZIONE ALIMENTARE DEI NUMANESI 
Prima di raccontare l'evoluzione alimentare dei numanesi è importante conoscere l'aspetto socio-economico attraverso le mie personali conoscenze e le informazioni avute e, attentamente ascoltate, da mia nonna, nata nel 1870, che a sua volta aveva ascoltato e appreso dai suoi familiari nati e vissuti a Numana nell' 800. Già sappiamo che Numana era un paese estremamente povero. Per la sua posizione geografica aveva pochissimi contatti con l'esterno, era lontana dalle principali vie di comunicazione (strade statali e ferrovia) e per arrivare a Numana occorreva venire espressamente a Numana. Non c'erano industrie, l' artigianato e il commercio erano affidati a poche persone con scarsissima esperienza professionale, il loro principale obiettivo era quello di guadagnare qualche cosa per sfamare la numerosa prole. Nella seconda metà dell' 800 fino all' inizio del ' 900 nel periodo primavera - estate e inizio autunno la principale fonte di sostentamento era la pesca. Il pescato non era abbondante per tutto il periodo sopra citato e nei periodi di magra, a malapena i pescatori riuscivano a “capezzare” (racimolare - rimediare) quel poco che serviva alla famiglia. I periodi più generosi erano aprile - maggio con la pesca delle seppie e “guatti”, e settembre per il passaggio del pesce azzurro (sardella, sardoni, papalina, lattarini, sgombri ecc.)
Nel periodo invernale, da ottobre a marzo, la vita era veramente durissima, senza pesca o altre attività che avessero dato un utile, si potrebbe ipotizzare che sia stato un vero miracolo aver superato quelle difficoltà. Mia nonna raccontava che nelle famiglie numerose e più povere capitava spesso che al mattino chi si alzava dal letto per primo metteva le scarpe che trovava, gli ultimi rimanevano senza scarpe, pertanto, o dovevano stare scalzi o, se era freddo, dovevano stare in casa, le scarpe per tutti non c'erano. Quando si doveva fare l' acquisto di un paio di scarpe per un figlio, raramente, mentre si provavano le scarpe più adatte al caso, la madre, rivolgendosi al negoziante, si raccomandava sempre di darle un paio “vantaggiate”, cioè più grandi della misura, in modo che la crescita dei piedi non ne avessero impedito l'uso per qualche anno. Quasi sempre le scarpe e gli indumenti venivano riciclati, cioè passati da padre in figlio, o dai figli più grandi a quelli più piccoli, fino al completo logoramento dell' indumento. I figli delle famiglie meno povere potevano avere il primo abito, tutto per loro, in occasione della Cresima, i figli delle famiglie più povere il primo vestito “nuovo” lo indossavano in occasione del matrimonio.
Passando all'evoluzione alimentare occorre precisare subito che l'alimento carne era quasi inesistente nei “menù” familiari. A Numana non esisteva una macelleria, una o due volte la settimana veniva “Brighelì”, un macellaio di Sirolo, che portava un pò di carne a quelle poche famiglie che potevano permettersela. L'alimentazione principale quotidiana era la polenta a mezzogiorno e la “crescia” di granturco con l' erba de campo la sera. Nel periodo di pesca la polenta, sempre sulla “spianatora”, (tavola usata per impastare) qualche volta era accompagnata da un “brodettino”di pesce e questo era un “menù” speciale. La polenta sulla “spianatora” così funzionava: su una grande tavola, appunto “la spianatora”, veniva versata tutta la polenta, cotta nel “caldaru”, foto indicativa del "caldaru" tratta dal web veniva “stirata” in modo che lo spessore non fosse più di un centimetro circa, e posta sul tavolo. Al centro della polenta si creava una buca con la “cucchiara” (cucchiaio) per mettere il sugo. I componenti della famiglia, tutti seduti intorno al tavolo, davanti al loro posto con la forchetta prendevano i pezzi di polenta li bagnavano nel sugo e li mangiavano. Si mangiava con rapidità per arrivare per primo a mangiare la polenta intorno alla buca del sugo perchè era la parte più condita. Capitava spesso che nel “caldaru”, mentre si cucinava la polenta, cadeva qualche pezzo di “fuliggine”dal camino, naturalmente, non si buttava via tutta la polenta, si toglieva soltanto il pezzo di “fuliggine” e continuava la cerimonia della cottura, che doveva essere girata con la “cucchiara” di legno in continuazione per evitare il formarsi dei “tozzi”( grumi ).
Il pesce veniva cucinato in tanti modi, purtroppo, sempre con poco olio, troppo caro per le esigue disponibilità economiche dei numanesi, si usava molto spesso il “lardo” di maiale, e anche questo veniva fatto a “ciga”, quindi non in abbondanza. Nei periodi di passaggio della “papalina”, molto spesso la “crescia” veniva accompagnata da questo tipo di pesce cotto sul “panaru”, per evitare il condimento. L' “erba de campo”, (papole, grespigni, pimpinella, spraine, malbe ecc) era cotta nel “caldaru” e alla sera non mancava quasi mai, i “caccialepri” invece si mangiavano crudi. Ogni pomeriggio le donne andavano a raccogliere l' “erba de campo” in campagna, quando il tempo permetteva, ed era foto crescia tratta dal web - blog "i fornelli di giò" accompagnata dalla “crescia” di granturco, ma non sempre e non in abbondanza. La “fiamenga” (piatto grande di portata) dell' erba era posta al centro della tavola, ogni componente della famiglia ne prendeva una “sforchettata” e la mangiava, non era usanza avere un piatto per ognuno. Il pezzo della “crescia” veniva distribuito all'inizio della cena, ad ognuno la sua razione, più grande o più piccola a secondo dell' età dei ragazzi, e quello doveva bastare. Il pasto del mezzogiorno, qualche volta, poteva essere sostituito dai “frescarelli” (riso cotto con l' aggiunta della farina di grano), questo piatto veniva chiamato anche “taccasanti” per l'aspetto colloso assomigliante alla colla per attaccare i manifesti sui muri. Con questo modo di mangiare a tavola era evidente che c'era disparità sulla quantità del cibo mangiato tra chi mangiava svelto e chi mangiava lento. A questo proposito ancora si racconta di un “vecchio” sirolese che a tavola mangiava con i nipoti. Un giorno, stanco della situazione, invita tutti a fare attenzione perchè deve fare una comunicazione importante. E così sentenzia: cari nipoti io sono destinato a morire, perchè se mangio svelto come voi, morirò
affogato perchè non riesco a competere con la vostra rapidità, se mangio lento come la mia età mi impone, morirò di fame, perchè voi con la vostra sveltezza non mi lascerete mangiare a sufficienza per sopravvivere. In quei tempi gli inverni erano lunghi, freddi e nevosi, l' unica difesa era quella di raccogliere la legna che “buttava” il mare durante le mareggiate, farla asciugare per qualche giorno ai bordi della strada che portava a Marcelli, poi portarla a casa per essere bruciata nel camino di casa per scaldarsi e per cucinare.
Con queste premesse avrete già capito come si alimentavano i numanesi dalla metà dell' 800 fino alla fine del secolo. Poi, dall' inizio del '900 per alcune famiglie le cose iniziarono a cambiare per effetto dell'inizio dell'emigrazione. Il vero esodo di massa si verificò negli anni '20 - '30, si può senz' altro affermare che erano rare le famiglie numanesi che non avessero un familiare emigrato in sud-america, soprattutto, in Argentina. Con le rimesse degli emigranti migliorò la situazione economica delle famiglie, in particolare per l'alimentazione. Sulla tavola si iniziò a vedere, “la carne” e la pasta fatta in casa con farina di grano e condita con il sugo di carne, anche se solo la domenica, il baccalà, lo stoccafisso, le patate, i ceci, i fagioli e così via. Ma la vera svolta fu il pane, fatto con farina di grano, che le donne preparavano in casa e portavano a cuocere nel forno pubblico. Il problema alimentare che assillò le famiglie, andò gradatamente scomparendo ad eccezione del periodo delle due guerre. E' paradossale che oggi alcune persone vanno al ristorante per mangiare quei prodotti alimentari che in passato hanno rappresentato la povertà, come la polenta, la pasta e fagioli, l' erba de campo, il baccalà, lo stoccafisso, ecc. ecc.
tratto
DAL PASSATO AL PRESENTE NUMANESE
ricordi della tradizione
di Pietro Marchetti Balducci

un concreto esempio ai giorni nostri ce lo dà l'amico Mario e socio :d ... bravissimi .salute

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