Le fisarmoniche Frontalini
In questa pagina del Drenaggi ripercorriamo la storia della più importante fabbrica sorta a Numana nel racconto di uno dei suoi più importanti protagonisti …
Non si può parlare della vita di Numana senza far riferimento alla "Frontalini" che segnò una svolta fondamentale della nostra storia. Diventando infatti il pilastro principale della nostra economia, l’azienda eliminò la piaga dell’emigrazione in Argentina e restituì gli uomini alla cittadina che fino ad allora era formata solo da vecchi, donne e bambini.
Questo argomento è già stato trattato molto diffusamente nel "Coraggio di cambiare", dal signor Giuliano, ma mi sento in dovere di riproporlo perchè, avendo vissuto in prima persona tutta la vita della "Frontalini", conosco dei particolari che possono sfuggire a chi non ne è stato protagonista.
Nazzareno Frontalini, oltre ad essere Maestro di musica, come già ricordato nei precedenti capitoli, era anche un ottimo artigiano; fabbricava, come gli altri suoi colleghi locali quali Baldoni, Lanari, Manti e Maglieri, organetti per la "Paolo Soprani" di Castelfidardo, fondatrice di questa attività nella nostra zona.
Nel 1927 i figli, Vincenzo e Alfredo, ed il genero, Pietro Massacesi, lo convinsero a
mettersi in proprio; incominciarono così la loro attività che solo dopo pochissimi anni
di rodaggio li impose sul mercato mondiale.
Dapprima presero in affitto un piccolo locale a piano terra del Palazzo Comunale accanto alle botteghe di Maglieri, Monaco Giuseppe e Domenico, Regoli Remigio e alla Cooperativa di Consumo Numanese, poi, anche per la cessata attività degli altri artigiani, riuscirono ad ottenere tutto lo stabile.
La fortuna dei Frontalini spinse altri compaesani a tentare l’impresa. Fu cosi che i fratelli Radicioni, negli anni ‘30, vollero iniziare questa attività nella quale, lasciato il commercio dell’olio di oliva, investirono tutto il proprio consistente patrimonio. Dopo un buon avvio ed i primi segnali positivi sopraggiunse però una grave crisi dovuta alle sanzioni, nei confronti dell’ Italia, decretate dalla Società delle Nazioni. Chiuso il commercio estero, i Radicioni, non avendo più mezzi finanziari a disposizione, non ressero e dovettero soccombere al fallimento.
Nel 1935, perciò, i Frontalini ebbero la possibilità di rilevare tutto il loro complesso edile (l’attuale Galleria) e ampliare cosi i vari reparti di lavorazione. La loro espansione fu tale che la struttura finora acquisita non fu più sufficiente per svolgere l’attività; i proprietari quindi dovettero dislocare gli uffici in Viale Morelli, nell’attuale Cassa di Risparmio, ed il reparto mantici in Via Matteotti, nell’edificio ora in parte occupato dalla "Parrucchiera Annalisa”.
L’officina meccanica, grazie alla perizia della squadra di meccanici locali, Nicoletti -
Domogrossi - Ceccarelli - Virgini - Polenta - i fratelli Barbadori ed altri, all’apporto dei bravissimi attrezzisti milanesi, Stefanini - Lostia - ing. Benedetti e Gaburro, si presentò subito all’avanguardia.
l Frontalini organizzarono la loro fabbrica in modo molto moderno e razionale; manifestarono infatti la loro mentalità manageriale con la produzione in serie al 50% del manufatto, non dimenticando mai che la fisarmonica è un prodotto artigianale.
I due fratelli si divisero i compiti: ad Alfredo toccò la parte commerciale e amministrativa, a Vincenzo l’ ufficio acquisti ed i magazzini, al cognato, Pietro Massacesi, fu affidata la parte tecnica.
L’ ottimo prodotto s’impose nei primi tempi con le fisarmoniche cromatiche (a bottoni) in Belgio, Olanda, Paesi Scandinavi e, nel 1932, con la fisarmonica a piano, ultima nata sul mercato. Le vendite interessarono anche gli U.S.A., l’ Australia, l’ Inghilterra, il Canada, il Sud Africa, ecc. Nel 1935 perciò la ditta possedeva il 50% del mercato inglese.
Dato il grande sviluppo e l’immensa mole di lavoro, sorsero tuttavia molte difficoltà per l’accordatura, mestiere per cui occorrono diversi anni di insegnamento e di tirocinio. L’handicap fu facilmente superato, però, grazie sia alla buona volontà dei vecchi intonatori, i quali insegnarono la loro arte molto volentieri ai più giovani che non tardarono ad apprendere, sia all’ aiuto di qualche accorgimento, quale, ad esempio, la divisione dell’ accordatura in sei stadi in modo da facilitare l’ esecuzione e dare possibilità all’ allievo di imparare subito settore per settore. Per ultimo un grande ausilio fu offerto dall’avvento di alcuni valenti ripassatori da Mondaino e Stradella dove, non bisogna dimenticarlo, si distinse un altro pioniere della fisarmonica, l’ex minatore Mariano Dallapè. Questi divenne un nome famoso per gli strumenti professionali e fu il capostipite dei fabbricanti piemontesi e lombardi operanti nella Salas – La Cooperativa - La Ranco - La Cavagnolo e Crosio, aziende che, in seguito, trasferirono la propria attività in Francia.
La “Frontalini" intanto continuava la grande espansione e, nel 1940, contava già circa trecento unità alle proprie dipendenze. Purtroppo allo scoppio della seconda guerra mondiale l’ azienda, che lavorava esclusivamente per l’ estero, dovette chiudere. Durante il conflitto, però, lo Stato commissionò fisarmoniche per i soldati a vari stabilimenti (Soprani, Scandalli ecc.) tra cui la "Frontalini" che, per la notevole quantità di commesse avute, poté riaprire e, operando anche per il mercato interno, dare lavoro a circa centocinquanta persone fra donne, ragazzi ed anziani.
Nei primi mesi del 1944 la ditta, per salvare il salvabile, nascose le apparecchiature d’ officina nei sotterranei del Palazzo Comunale senza purtroppo riuscire a far niente per quelle che i tedeschi, in ritirata, fecero saltare con la dinamite, per tutte le macchine del legno e per i banchi da lavoro che furono requisiti dagli Alleati.
Nel 1945, dopo l’armistizio, la "Frontalini" riprese l’attività, aumentò gradatamente le assunzioni ed incrementò le esportazioni tanto che le maestranze, nel 1955, raggiunsero le 606 unità: 70% uomini e 30% donne.
Questo argomento è già stato trattato molto diffusamente nel "Coraggio di cambiare", dal signor Giuliano, ma mi sento in dovere di riproporlo perchè, avendo vissuto in prima persona tutta la vita della "Frontalini", conosco dei particolari che possono sfuggire a chi non ne è stato protagonista.
Nazzareno Frontalini, oltre ad essere Maestro di musica, come già ricordato nei precedenti capitoli, era anche un ottimo artigiano; fabbricava, come gli altri suoi colleghi locali quali Baldoni, Lanari, Manti e Maglieri, organetti per la "Paolo Soprani" di Castelfidardo, fondatrice di questa attività nella nostra zona.
Nel 1927 i figli, Vincenzo e Alfredo, ed il genero, Pietro Massacesi, lo convinsero a
mettersi in proprio; incominciarono così la loro attività che solo dopo pochissimi anni
di rodaggio li impose sul mercato mondiale.
Dapprima presero in affitto un piccolo locale a piano terra del Palazzo Comunale accanto alle botteghe di Maglieri, Monaco Giuseppe e Domenico, Regoli Remigio e alla Cooperativa di Consumo Numanese, poi, anche per la cessata attività degli altri artigiani, riuscirono ad ottenere tutto lo stabile.
La fortuna dei Frontalini spinse altri compaesani a tentare l’impresa. Fu cosi che i fratelli Radicioni, negli anni ‘30, vollero iniziare questa attività nella quale, lasciato il commercio dell’olio di oliva, investirono tutto il proprio consistente patrimonio. Dopo un buon avvio ed i primi segnali positivi sopraggiunse però una grave crisi dovuta alle sanzioni, nei confronti dell’ Italia, decretate dalla Società delle Nazioni. Chiuso il commercio estero, i Radicioni, non avendo più mezzi finanziari a disposizione, non ressero e dovettero soccombere al fallimento.
Nel 1935, perciò, i Frontalini ebbero la possibilità di rilevare tutto il loro complesso edile (l’attuale Galleria) e ampliare cosi i vari reparti di lavorazione. La loro espansione fu tale che la struttura finora acquisita non fu più sufficiente per svolgere l’attività; i proprietari quindi dovettero dislocare gli uffici in Viale Morelli, nell’attuale Cassa di Risparmio, ed il reparto mantici in Via Matteotti, nell’edificio ora in parte occupato dalla "Parrucchiera Annalisa”.
L’officina meccanica, grazie alla perizia della squadra di meccanici locali, Nicoletti -
Domogrossi - Ceccarelli - Virgini - Polenta - i fratelli Barbadori ed altri, all’apporto dei bravissimi attrezzisti milanesi, Stefanini - Lostia - ing. Benedetti e Gaburro, si presentò subito all’avanguardia.
l Frontalini organizzarono la loro fabbrica in modo molto moderno e razionale; manifestarono infatti la loro mentalità manageriale con la produzione in serie al 50% del manufatto, non dimenticando mai che la fisarmonica è un prodotto artigianale.
I due fratelli si divisero i compiti: ad Alfredo toccò la parte commerciale e amministrativa, a Vincenzo l’ ufficio acquisti ed i magazzini, al cognato, Pietro Massacesi, fu affidata la parte tecnica.
L’ ottimo prodotto s’impose nei primi tempi con le fisarmoniche cromatiche (a bottoni) in Belgio, Olanda, Paesi Scandinavi e, nel 1932, con la fisarmonica a piano, ultima nata sul mercato. Le vendite interessarono anche gli U.S.A., l’ Australia, l’ Inghilterra, il Canada, il Sud Africa, ecc. Nel 1935 perciò la ditta possedeva il 50% del mercato inglese.
Dato il grande sviluppo e l’immensa mole di lavoro, sorsero tuttavia molte difficoltà per l’accordatura, mestiere per cui occorrono diversi anni di insegnamento e di tirocinio. L’handicap fu facilmente superato, però, grazie sia alla buona volontà dei vecchi intonatori, i quali insegnarono la loro arte molto volentieri ai più giovani che non tardarono ad apprendere, sia all’ aiuto di qualche accorgimento, quale, ad esempio, la divisione dell’ accordatura in sei stadi in modo da facilitare l’ esecuzione e dare possibilità all’ allievo di imparare subito settore per settore. Per ultimo un grande ausilio fu offerto dall’avvento di alcuni valenti ripassatori da Mondaino e Stradella dove, non bisogna dimenticarlo, si distinse un altro pioniere della fisarmonica, l’ex minatore Mariano Dallapè. Questi divenne un nome famoso per gli strumenti professionali e fu il capostipite dei fabbricanti piemontesi e lombardi operanti nella Salas – La Cooperativa - La Ranco - La Cavagnolo e Crosio, aziende che, in seguito, trasferirono la propria attività in Francia.
La “Frontalini" intanto continuava la grande espansione e, nel 1940, contava già circa trecento unità alle proprie dipendenze. Purtroppo allo scoppio della seconda guerra mondiale l’ azienda, che lavorava esclusivamente per l’ estero, dovette chiudere. Durante il conflitto, però, lo Stato commissionò fisarmoniche per i soldati a vari stabilimenti (Soprani, Scandalli ecc.) tra cui la "Frontalini" che, per la notevole quantità di commesse avute, poté riaprire e, operando anche per il mercato interno, dare lavoro a circa centocinquanta persone fra donne, ragazzi ed anziani.
Nei primi mesi del 1944 la ditta, per salvare il salvabile, nascose le apparecchiature d’ officina nei sotterranei del Palazzo Comunale senza purtroppo riuscire a far niente per quelle che i tedeschi, in ritirata, fecero saltare con la dinamite, per tutte le macchine del legno e per i banchi da lavoro che furono requisiti dagli Alleati.
Nel 1945, dopo l’armistizio, la "Frontalini" riprese l’attività, aumentò gradatamente le assunzioni ed incrementò le esportazioni tanto che le maestranze, nel 1955, raggiunsero le 606 unità: 70% uomini e 30% donne.
Tutta la gioventù femminile lavorava in fabbrica, perchè molte erano le mansioni idonee alle donne che si impiegavano volentieri per aiutare le famiglie e procurarsi i soldi per la dote. Esse, raggiunto il proprio scopo, si sposavano e lasciavano il lavoro per dedicarsi alle cure domestiche e all’educazione dei figli.
Pertanto le giovani, consce delle responsabilità future, quindici giorni prima del matrimonio, si licenziavano ed altre le sostituivano. La "Frontalini", unico ed efficiente modello industriale per quel tempo, era dotata di un ufficio costi e tecnico, un ottimo comparto commerciale e amministrativo, un laboratorio prototipi ed uno per le prove, magazzini distinti per materie prime, semilavorati e prodotti finiti, dieci reparti di produzione, ognuno con un responsabile assistito da vari capisquadra.
Tutte le lavorazioni venivano eseguite all’ interno: dalla galvanica alle voci, dall’ officina ai mantici. La produzione annua superava i ventimila pezzi, il cui prezzo medio di cinquanta dollari procurava un introito di circa un milione di dollari, pari a cinquecento milioni di lire.
Tutte le maestranze erano pagate a tariffa, secondo la categoria di appartenenza, e per tre quattro anni gli operai usufruirono anche di un premio di produzione. Ogni lavoratore poteva contare su un salario di circa 250.000/300.000 lire annue, che non erano poche per quei tempi, e frequentemente venivano occupate anche intere famiglie. l contributi previdenziali erano pagati tutti interamente e, grazie alla regolarità di questi versamenti, ora gli ex dipendenti percepiscono discrete pensioni.
L’ impresa per il proprio sviluppo commerciale fu la prima ad avvalersi di rappresentanti e concessionari in tutto il mondo e, per conquistare un più largo mercato, vendeva a commercianti della stessa zona con disegni e nomi diversi.
Furono fabbricati anche prodotti di elevata qualità, cromatici e pianoforti, per professionisti, strumenti che non venivano commercializzati ma servivano solo per la formazione di due orchestre, una di professionisti e una di dilettanti, che eseguivano unicamente musica classica e sinfonica.
Verso il 1957-58, con l’inizio della crisi del mercato U.S.A., iniziò il declino della fisarmonica. I grossisti non ebbero più interesse a promuovere le vendite; molti buoni operai si licenziarono dalle grandi aziende, specialmente a Castelfidardo, formando un centinaio di piccole ditte artigiane che riservavano il prodotto esclusivamente a maestri di fisarmonica e a piccoli negozi; i nuovi generi musicali, tra i quali il Jazz, non richiesero più l’uso di questo strumento. Come conseguenza tutte le aziende, sia quelle piccole che producevano in proprio, come la Daily e l’Armonica, o per conto della Farfisa, come la Diamante e Pigliacampo, sia quelle di maggiori dimensioni e già affermate come la Frontalini, incapparono nelle difficoltà economiche che ne minarono le fondamenta.
Sopravvenne però, nel frattempo, la "pianòla" che suscitò molte speranze; i Frontalini, precursori nell’ideazione di tale manufatto avendone costruiti dei prototipi fin dal 1926, ricominciarono l’ascesa. La produzione passò a duecento pezzi giornalieri; lo stabilimento si riprese e nel giro di sei mesi furono pagati tutti gli arretrati. Si iniziò a costruire anche organi ad ancia per le chiese; essi ben presto si imposero sul mercato sostituendo l’ armoniun tradizionale. La crisi sembrava decisamente superata ma, all’orizzonte, stava sorgendo l’elettronica e la "Frontalini" non poté intraprendere questa nuova attività, che in breve tempo avrebbe soppiantato la vecchia, per mancanza di fondi. Non ci fu impegno politico per aiutare l’impresa languente, come se fosse già stata decretata la sua morte; le furono negati i finanziamenti e fu votata al dissesto:
Numana sarebbe dovuta diventare cittadina completamente turistica.
Era il 1964 e la "Frontalini" fallì per una cifra irrisoria; i dipendenti, pagati fino all’ ultima quindicina, persero solo una parte della liquidazione, mentre i fornitori vantarono un credito di trenta milioni.
Negli anni successivi anche gli altri piccoli opifici di Numana furono costretti a traslocare nella vicina Sirolo che, al contrario del nostro paese "Comune di prima categoria", era stata dichiarata "Zona depressa".
Fu una vergogna far finire un’azienda, che aveva dato lustro e lavoro a tutte le maestranze del luogo e dei dintorni, per un debito che ammontava a soli centosessanta milioni.
Di questa vergogna fui testimone io stesso, quando andai a dirigere una ditta di Castelfidardo con trecentocinquanta dipendenti, che di "fabbrica" aveva solo il nome: non possedeva attrezzature, i costi erano superiori del 50% a quelli della Frontalini, pur producendo il 35% di lavorazioni all’esterno, gli operai avevano stipendi arretrati di tre mesi e straordinari di un anno, l’ lNPS vantava un credito triennale.
In totale il debito era tre volte e mezzo superiore a quello della Frontalini e non c’erano ordini da evadere. Il lavoro che io riuscii a procurare, consistente in migliaia di pezzi pregiati su commissione di una ditta tedesca, e l’appoggio delle autorità costituirono un aiuto notevole e indispensabile per salvare l’industria dal fallimento.
Ma Castelfidardo non era e non e un centro turistico!
Dal canto suo Numana, ormai volta a diverso tipo di economia, oggi sembra aver dimenticato il suo passato industriale: il paese, a differenza dei centri limitrofi, non ha dedicato neanche una via a Nazzareno Frontalini, artefice del miglioramento sociale e finanziario di cui ancora oggi i cittadini godono.
Pertanto le giovani, consce delle responsabilità future, quindici giorni prima del matrimonio, si licenziavano ed altre le sostituivano. La "Frontalini", unico ed efficiente modello industriale per quel tempo, era dotata di un ufficio costi e tecnico, un ottimo comparto commerciale e amministrativo, un laboratorio prototipi ed uno per le prove, magazzini distinti per materie prime, semilavorati e prodotti finiti, dieci reparti di produzione, ognuno con un responsabile assistito da vari capisquadra.
Tutte le lavorazioni venivano eseguite all’ interno: dalla galvanica alle voci, dall’ officina ai mantici. La produzione annua superava i ventimila pezzi, il cui prezzo medio di cinquanta dollari procurava un introito di circa un milione di dollari, pari a cinquecento milioni di lire.
Tutte le maestranze erano pagate a tariffa, secondo la categoria di appartenenza, e per tre quattro anni gli operai usufruirono anche di un premio di produzione. Ogni lavoratore poteva contare su un salario di circa 250.000/300.000 lire annue, che non erano poche per quei tempi, e frequentemente venivano occupate anche intere famiglie. l contributi previdenziali erano pagati tutti interamente e, grazie alla regolarità di questi versamenti, ora gli ex dipendenti percepiscono discrete pensioni.
L’ impresa per il proprio sviluppo commerciale fu la prima ad avvalersi di rappresentanti e concessionari in tutto il mondo e, per conquistare un più largo mercato, vendeva a commercianti della stessa zona con disegni e nomi diversi.
Furono fabbricati anche prodotti di elevata qualità, cromatici e pianoforti, per professionisti, strumenti che non venivano commercializzati ma servivano solo per la formazione di due orchestre, una di professionisti e una di dilettanti, che eseguivano unicamente musica classica e sinfonica.
Verso il 1957-58, con l’inizio della crisi del mercato U.S.A., iniziò il declino della fisarmonica. I grossisti non ebbero più interesse a promuovere le vendite; molti buoni operai si licenziarono dalle grandi aziende, specialmente a Castelfidardo, formando un centinaio di piccole ditte artigiane che riservavano il prodotto esclusivamente a maestri di fisarmonica e a piccoli negozi; i nuovi generi musicali, tra i quali il Jazz, non richiesero più l’uso di questo strumento. Come conseguenza tutte le aziende, sia quelle piccole che producevano in proprio, come la Daily e l’Armonica, o per conto della Farfisa, come la Diamante e Pigliacampo, sia quelle di maggiori dimensioni e già affermate come la Frontalini, incapparono nelle difficoltà economiche che ne minarono le fondamenta.
Sopravvenne però, nel frattempo, la "pianòla" che suscitò molte speranze; i Frontalini, precursori nell’ideazione di tale manufatto avendone costruiti dei prototipi fin dal 1926, ricominciarono l’ascesa. La produzione passò a duecento pezzi giornalieri; lo stabilimento si riprese e nel giro di sei mesi furono pagati tutti gli arretrati. Si iniziò a costruire anche organi ad ancia per le chiese; essi ben presto si imposero sul mercato sostituendo l’ armoniun tradizionale. La crisi sembrava decisamente superata ma, all’orizzonte, stava sorgendo l’elettronica e la "Frontalini" non poté intraprendere questa nuova attività, che in breve tempo avrebbe soppiantato la vecchia, per mancanza di fondi. Non ci fu impegno politico per aiutare l’impresa languente, come se fosse già stata decretata la sua morte; le furono negati i finanziamenti e fu votata al dissesto:
Numana sarebbe dovuta diventare cittadina completamente turistica.
Era il 1964 e la "Frontalini" fallì per una cifra irrisoria; i dipendenti, pagati fino all’ ultima quindicina, persero solo una parte della liquidazione, mentre i fornitori vantarono un credito di trenta milioni.
Negli anni successivi anche gli altri piccoli opifici di Numana furono costretti a traslocare nella vicina Sirolo che, al contrario del nostro paese "Comune di prima categoria", era stata dichiarata "Zona depressa".
Fu una vergogna far finire un’azienda, che aveva dato lustro e lavoro a tutte le maestranze del luogo e dei dintorni, per un debito che ammontava a soli centosessanta milioni.
Di questa vergogna fui testimone io stesso, quando andai a dirigere una ditta di Castelfidardo con trecentocinquanta dipendenti, che di "fabbrica" aveva solo il nome: non possedeva attrezzature, i costi erano superiori del 50% a quelli della Frontalini, pur producendo il 35% di lavorazioni all’esterno, gli operai avevano stipendi arretrati di tre mesi e straordinari di un anno, l’ lNPS vantava un credito triennale.
In totale il debito era tre volte e mezzo superiore a quello della Frontalini e non c’erano ordini da evadere. Il lavoro che io riuscii a procurare, consistente in migliaia di pezzi pregiati su commissione di una ditta tedesca, e l’appoggio delle autorità costituirono un aiuto notevole e indispensabile per salvare l’industria dal fallimento.
Ma Castelfidardo non era e non e un centro turistico!
Dal canto suo Numana, ormai volta a diverso tipo di economia, oggi sembra aver dimenticato il suo passato industriale: il paese, a differenza dei centri limitrofi, non ha dedicato neanche una via a Nazzareno Frontalini, artefice del miglioramento sociale e finanziario di cui ancora oggi i cittadini godono.
tratto da "mia cara Numana de 'na volta" di Liberato Drenaggi
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