Una "coppa" ... di maiale
L’ARTE DI ARRANGIARSI
Forse perchè la gioventù ormai è lontana che mi fa piacere, continuando a scavare tra i miei ricordi e, come al solito, spigolando qua e là, ritornare con la memoria proprio agli anni della mia fanciulezza: 1920/1930.
I ragazzi di allora erano impegnati a scuola tutto il giorno, tranne il giovedi; normalmente frequentavano fino alla terza elementare. Pochi arrivavano alla licenza, pochissimi aderivano al corso integrativo di tre anni che si teneva a Sirolo e che corrispondeva alle attuali medie inferiori.
Per riempire il tempo libero gli adolescenti venivano mandati a bottega presso i pochi artigiani del paese e a "sciabega", attività decisamente pesante per un giovanetto. Così la famiglia, a parte il guadagno che era veramente poco, limitava al massimo le spese per il vestiario specialmente per le scarpe che erano per lo più cioce e zoccoli di legno ai quali venivano applicate delle punte di metallo di latta, per non farli consumare.
Il poco tempo dedicato allo svago vero e proprio veniva trascorso alla “Torre" e al "Cavalluccio", l’attuale giardino del Municipio, dove ora sorge un intreccio di ferri chiamato pomposamente "Monumento". Mi sia permessa una digressione: sarebbe auspicabile che questo spazio venisse riportato alle origini e ridestinato o ai divertimenti dei ragazzi o alle feste e manifestazioni anche culturali; si potrebbe cosi eliminare, d’estate, lo sconcio dell’allestire in piazza il palco, alla bisogna, lasciando in tal modo libero uno dei pochi luoghi di aggregazione del paese.
Gli svaghi di allora erano gli stessi di qualche anno fa, prima che venissero introdotti i giochi educativi. Si gareggiava lietamente a "guardie e ladri", a "zecchera" con palline di terracotta o di vetro colorato, a "tutto", da tempo dimenticato. Quest’ultimo consisteva nello scavare nove buche a terra, dove venivano messe le puntate di pochi centesimi, e nel lanciare poi una palla di ferro. Se si riusciva ad entrare nella fossetta centrale, si vinceva tutto, da questo il nome del gioco; se invece si coglieva una delle altre piccole cavità, si ritirava la puntata ad essa corrispondente. Tra i giocatori ricordo: Ntunitu de Madalena, Vittoriu de 'Ngelina de Bardascì, Aldì d’Idola, Leandru de Maria de Nena e Banì de la Luciòla che era il campione. La "tacchella" era la disperazione delle madri. Si utilizzavano dei bottoni che venivano spinti sul terreno a piccoli colpi di nocche: chi perdeva, rimaneva senza materia prima ed era costretto, per continuare a giocare, a staccare quelli dei pantaloni, che rimpiazzava poi con filo di ferro e spille da balia. Le madri allora, forti del proverbio "L’ agu e la pezzola mantiè la famigliola", oltre che mettere i “cugni" (pezzi di stoffa anche di colore diverso)
per coprire gli strappi che venivano procurati nei pantaloni con la “straginarella" (lo scivolare lungo cunette in pendio con conseguente consumo dei pantaloni), dovevano attaccare continuamente i bottoni, non badando certo al colore!
L’attività che richiedeva tempo era la costruzione dei "carrioli" (carretti rudimentali per corse in discesa). Per aumentarne la velocità, venivano utilizzati dei cuscinetti a sfera e le prove generali avvenivano, tra le proteste degli abitanti, in Via Leopardi dal Bar Morelli alle scalette e in Via C. Colombo dalla casa del "Furnaru" alla spiaggiola. A volte si gareggiava con i Sirolesi, quando i Comuni erano uniti, attraverso il percorso che si snodava dal teatro Cortesi alla villa del Maggiore Franceschini e, all’altezza della villa Frontalini, non pochi erano quelli che finivano nel campo d’Arcagni. Al vincitore veniva consegnata come trofeo una "coppa" .... di maiale, e tutto finiva con una buona merenda, gustata con un buon vino, nel giardino della villa Franceschini.
I ragazzi di allora erano impegnati a scuola tutto il giorno, tranne il giovedi; normalmente frequentavano fino alla terza elementare. Pochi arrivavano alla licenza, pochissimi aderivano al corso integrativo di tre anni che si teneva a Sirolo e che corrispondeva alle attuali medie inferiori.
Per riempire il tempo libero gli adolescenti venivano mandati a bottega presso i pochi artigiani del paese e a "sciabega", attività decisamente pesante per un giovanetto. Così la famiglia, a parte il guadagno che era veramente poco, limitava al massimo le spese per il vestiario specialmente per le scarpe che erano per lo più cioce e zoccoli di legno ai quali venivano applicate delle punte di metallo di latta, per non farli consumare.
Il poco tempo dedicato allo svago vero e proprio veniva trascorso alla “Torre" e al "Cavalluccio", l’attuale giardino del Municipio, dove ora sorge un intreccio di ferri chiamato pomposamente "Monumento". Mi sia permessa una digressione: sarebbe auspicabile che questo spazio venisse riportato alle origini e ridestinato o ai divertimenti dei ragazzi o alle feste e manifestazioni anche culturali; si potrebbe cosi eliminare, d’estate, lo sconcio dell’allestire in piazza il palco, alla bisogna, lasciando in tal modo libero uno dei pochi luoghi di aggregazione del paese.
Gli svaghi di allora erano gli stessi di qualche anno fa, prima che venissero introdotti i giochi educativi. Si gareggiava lietamente a "guardie e ladri", a "zecchera" con palline di terracotta o di vetro colorato, a "tutto", da tempo dimenticato. Quest’ultimo consisteva nello scavare nove buche a terra, dove venivano messe le puntate di pochi centesimi, e nel lanciare poi una palla di ferro. Se si riusciva ad entrare nella fossetta centrale, si vinceva tutto, da questo il nome del gioco; se invece si coglieva una delle altre piccole cavità, si ritirava la puntata ad essa corrispondente. Tra i giocatori ricordo: Ntunitu de Madalena, Vittoriu de 'Ngelina de Bardascì, Aldì d’Idola, Leandru de Maria de Nena e Banì de la Luciòla che era il campione. La "tacchella" era la disperazione delle madri. Si utilizzavano dei bottoni che venivano spinti sul terreno a piccoli colpi di nocche: chi perdeva, rimaneva senza materia prima ed era costretto, per continuare a giocare, a staccare quelli dei pantaloni, che rimpiazzava poi con filo di ferro e spille da balia. Le madri allora, forti del proverbio "L’ agu e la pezzola mantiè la famigliola", oltre che mettere i “cugni" (pezzi di stoffa anche di colore diverso)
per coprire gli strappi che venivano procurati nei pantaloni con la “straginarella" (lo scivolare lungo cunette in pendio con conseguente consumo dei pantaloni), dovevano attaccare continuamente i bottoni, non badando certo al colore!
L’attività che richiedeva tempo era la costruzione dei "carrioli" (carretti rudimentali per corse in discesa). Per aumentarne la velocità, venivano utilizzati dei cuscinetti a sfera e le prove generali avvenivano, tra le proteste degli abitanti, in Via Leopardi dal Bar Morelli alle scalette e in Via C. Colombo dalla casa del "Furnaru" alla spiaggiola. A volte si gareggiava con i Sirolesi, quando i Comuni erano uniti, attraverso il percorso che si snodava dal teatro Cortesi alla villa del Maggiore Franceschini e, all’altezza della villa Frontalini, non pochi erano quelli che finivano nel campo d’Arcagni. Al vincitore veniva consegnata come trofeo una "coppa" .... di maiale, e tutto finiva con una buona merenda, gustata con un buon vino, nel giardino della villa Franceschini.
tratto da "mia cara Numana de 'na volta" di Liberato Drenaggi
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